L’amico musicista aveva inventato per me quella musica marina dalla melodia fluttuante e leggera; impalpabile, fatta di lunghi silenzi e di improvvise luci sonore. “Se ascolti il mare nei giorni di maestrale, puoi udire le medesime sonorità. E non è vero che “quel rumore” è sempre uguale; è invece giocato sulle mille scale armoniche percettibili solo a un orecchio attento e a un cuore vivo”. Mi disse poi che avrebbe voluto, appunto, un cuore meno fragile di quella chiave di violino che si portava nel petto: un cuore di marinaio, che come sasso di mare sbatte e rotola senza rompersi… senza fare rumore.